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"L'Università rischia la dimenticanza? I problemi sembrano essere altri, teorici e pratici, rispetto ai programmi, a tematiche di cui è stata compresa l'imprescindibilità rispetto a punti di vista sui quali parrebbe prevalsa l'obsolescenza del sapere. Chi frequenti le aule universitarie o anche soltanto np raccolga echi di non sicura autorevolezza, il problema deve porselo. Si può prescindere da qualcosa di sostanziale, è raffigurabile un apprendere lacunoso, discontinuo, affidato alla curiosità e non alla scelta, e ancor prima alla convivenza sinottica del diverso? I devoti all'Università, quelli che vi hanno cercato e spesso trovato novità insospettate, implicazioni illuminanti, e all'opposto fondamenti fallaci almeno da rettificare a vantaggio dell'intero sapere, costoro formano un esercito - il termine può far sorridere, ma eccede assai meno di quanto sembri - che impedirà l'oblio, il passare accanto irridente e saccente. Proprio così. La scuola universitaria ha impartito lezioni che altri, dopo averle ascoltate, ha potuto convertire, a condizione di non opporvisi, in un'evidenza che potrebbe chiamarsi originaria o, ancor meglio, originante. Che la prassi o il cosiddetto modo di vivere possano rifiutarsi di rinunciare alla consapevolezza di un sapere che fornisce motivate risposte a quesiti semplicemente oggettivi, ai quali può se mai chiedersi la gradualità del chiedere, è legittimo e ovvio. Ma perché chiedere, se non ci fosse l'inevidente accanto all'ovvio e l'assoluto accanto al precario? L'Università, questo è vero, ne ha un imprescindibile bisogno. Chi tutto voglia relativizzare, si trova nell'impossibilità di esistere, che ha pur sempre la dignità di essere tale, e non puramente o semplicemente la casualità di un evento fortuito. E non basta restare quel che si è: occorre crescere, sollevare problemi, aver l'aria di lavorare contro i propri gusti e interessi. Comanda il pensiero, diciamolo francamente: «in principo erat Verbum»..." (Vincenzo Cappelletti)